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12/06/2025

Decreto Salva-Casa: quando la geografia decide se puoi regolarizzare o no

 

La revisione del Testo Unico dell’Edilizia, ormai da anni al centro del dibattito politico, dovrà affrontare con attenzione il tema della legislazione concorrente Stato-Regioni fissato dal Titolo V della Costituzione. In questo articolo, a cura del consigliere nazionale CNGeGL Marco Vignali per DIAC – Diario Infrastrutture Ambiente Costruito, viene approfondito questo aspetto e non solo

 

di Marco Vignali, consigliere Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati

La revisione del Testo Unico dell’Edilizia, ormai da anni al centro del dibattito politico, dovrà senza dubbio affrontare con attenzione anche il tema della legislazione concorrente Stato-Regioni fissato dal Titolo V della Costituzione.

Con riguardo al governo del territorio, l’articolo 117 lascia all’autonomia regionale la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservati a quella statale.

Sotto questo profilo uno degli aspetti più dibattuti del Dpr 380/2001 è contenuto all’articolo 32, che tratta la determinazione delle variazioni essenziali.

Attualmente la norma assegna alle Regioni il compito di stabilire quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, limitandosi a disporre che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verificano specifiche condizioni.

Tra queste vengono ricomprese le modifiche della destinazione d’uso che implichino la variazione degli standard, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio rispetto al progetto approvato e le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza.

La genericità dei principi ha portato nel tempo a una normazione regionale disomogenea, con importanti ricadute sulla possibilità di regolarizzazione degli interventi realizzati in difformità dal titolo approvato.

Volendo rappresentare l’attuale quadro nazionale, alcune Regioni come la Campania e il Molise, ancora oggi sono prive della definizione di variazione essenziale. Altre fissano limiti agli aumenti di superficie o volume davvero residuali, oggi inferiori o pari alle percentuali ammesse per le tolleranze costruttive: è il caso del Lazio, fermo al 2% (anche se è notizia di questi giorni che si avvia ad una modifica che eleverà la percentuale al 15%) e la Calabria, con limiti al 5%.

Alcune Regioni applicano percentuali per scaglioni, riducendole all’aumentare delle superfici o volumi autorizzati: così ad esempio in Lombardia, dove dal 7,5% per volumi fino a mille metri cubi o superfici fino a 400 metri quadrati, si arriva all’ 1,2% dai 3.001 metri cubi sino e non oltre ai 30mila metri cubi o con superfici da 1.001 metri quadrati sino a 10mila metri quadrati.

Le Regioni che hanno previsto le maggiori percentuali in termini di superficie e volume sono il Piemonte, il Veneto e l’Emilia Romagna, che, con diverse sfumature applicative, si attestano sul 20%. Anche la Sicilia arriva alla stessa percentuale negli incrementi volumetrici, ma si limita al 10% relativamente a quelli superficiari.

Perché soffermarsi in modo puntuale su questi numeri?

Riportando un esempio di stretta attualità, alcune importanti disposizioni del decreto salva-casa, sono strettamente collegate alle definizioni di parziali difformità e di variazioni essenziali.

Si pensi all’articolo 34-ter comma 1, riguardante gli interventi realizzati come varianti in corso d’opera che costituiscono parziale difformità dal titolo rilasciato prima della data di entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977 n. 10. Oppure alla cosiddetta “agibilità sanante” di cui all’articolo 34-ter comma 4, che assoggetta alla disciplina delle tolleranze costruttive le parziali difformità realizzate durante l’esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, a determinate condizioni.

In questi casi la disparità applicativa dovuta alle diverse definizioni regionali provoca una forte sperequazione nell’accesso alla regolarizzazione di difformità dai titoli edilizi rilasciati.

Si pensi ad esempio ad un edificio autorizzato nel 1970 per una superficie di 200 metri quadrati e per un volume di 600 metri cubi e risultato difforme dal progetto con incrementi di superficie pari a 35 metri quadrati (17,5%) e di volume pari a 100 metri cubi (16,7%).

Se il fabbricato fosse collocato nel Lazio, in Calabria o in Lombardia, non potrebbe essere regolarizzato ai sensi dell’art. 34-ter comma 1, o assoggettato alla disciplina delle tolleranze ai sensi dell’art. 34-ter comma 4, perché in queste regioni l’intervento ricadrebbe nelle variazioni essenziali. Diversamente in Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna si attesterebbe nelle parziali difformità, quindi potrebbe godere delle semplificazioni entrate in vigore con la Legge 105/2024.

La stessa condizione potrebbe profilarsi anche per l’accesso alla regolarizzazione delle difformità previste dall’articolo 36 bis comma 4, nel caso di immobili sottoposti ad autorizzazione paesaggistica, ancorché con dubbi interpretativi da dirimere (si veda in proposito quanto riportato nell’articolo pubblicato all’interno di questa rubrica in data 15 maggio 2025).

È evidente la necessità di porre rimedio a questa disparità di trattamento, che dipende esclusivamente dalla collocazione geografica dell’immobile. Per questo è indispensabile una riscrittura dell’articolo 32, togliendo o limitando drasticamente la potestà regionale, nell’ottica di rendere uniforme la definizione delle difformità in edilizia e ritrovare la perequazione e l’omogeneità applicativa sull’intero territorio nazionale.

QUI l’articolo pubblicato su DIAC